It was your heart hurting, but not for too long, kid

Dopo un’estate che già mi ha riservato varie gioie musicali potevo dire basta: e invece no. Troppo ghiotta l’occasione di una toccata e fuga in quel di Urbino, con la possibilità di vedere in buona compagnia tre concerti che mi interessavano (a un prezzo onestissimo) e allo stesso tempo visitare la cittadina marchigiana (patrimonio dell’UNESCO che ha dato i natali tra gli altri a Raffaello Sanzio e – orrore! – Valentino Rossi) per la prima volta. E quindi, Frequenze Disturbate è stato.

[A proposito di ghiottonerie, parliamo anche della crescia, malefica versione locale della piadina: pare che ai più risulti gustosa, ma un po’ pesante da finire (è intrisa di strutto). Io in pochi minuti ne ho fatte sparire due con nonchalance, tra gli sguardi stupiti dei presenti (e di chi più tardi ha saputo). In effetti devo ammettere che quando poi lo strutto è entrato in circolo un lieve di mal di testa da pesantezza l’ho accusato, per qualche minuto. Però ne valeva la pena, ah sì.]

 Frequenze Disturbate vanta ormai una storia decennale, ed è certamente tra i festival più noti in Italia tra gli appassionati di musica indipendente. L’ambientazione e la sua dimensione "a misura d’uomo" sono fra i suoi punti di forza. Il festival tornava dopo un anno di "pausa di riflessione" con un’organizzazione rinnovata, e nella sua prima e meno frequentata giornata aveva visto un cast tutto al femminile, con St.Vincent, My Brightest Diamond e Cristina Donà.

Il programma della domenica prevedeva due band internazionali: i texani Okkervil River, headliner da me attesissimi, e gli svedesi Radio Dept. in apertura. Nel mezzo, ottimo prosciutto nel panino, i (solo occasionalmente?) ri-uniti Massimo Volume, reduci dalla prima storica data dopo anni al torinese Traffic Festival.

I concerti si svolgono in pieno centro, in piazza Duca Federico. E’ una novità: nelle passate edizioni la location era la Fortezza. Per me è la prima volta qui, non posso fare confronti. Forse in cima alla collina il panorama era più bello e c’era più spazio, ma a me non dispiacciono i concerti nelle piazze storiche. E pur non essendo lo spazio recintato enorme, i live sono stati un’esperienza vivibile e si riusciva a stare vicini al palco senza dover sgomitare o appostarsi con largo anticipo. L’affluenza di pubblico comunque è stata alta, in rapporto alla capienza: la serata è stata insomma un successo anche di presenze, oltre che sotto il profilo qualitativo.


…l’inizio, per la verità, non è entusiasmante. Con un certo ritardo sull’orario annunciato (che avrebbe dovuto essere "tassativo"), i primi a salire sul palco sono i Radio Dept.
Ora, il nome dei Radio Dept. ai più non dirà nulla; un certo numero di persone li conosce da quando alcune loro canzoni sono finite nella colonna sonora di Marie Antoinette di Sofia Coppola; quei pochi che li conoscevano da prima invece, molto probabilmente 1) hanno un blog, oppure 2) leggono da diversi anni i blog italiani che parlano di musica [*].
Con le canzoni del loro primo album Lesser Matters, che svariavano tra indiepop anni 90, indietronica e showgaze, e che potevano richiamare alla mente di volta in volta gli Air o i Jesus And Mary Chain (ehm, dicevamo della Coppola? sembra di parlare dell’intera sua filmografia), i Radio Dept. avevano conquistato molti blogger italiani, tanto che i loro 2 concerti italiani del maggio 2005 a Bologna e a Roma furono addirittura organizzati e autofinanziati da una specie di blog-cordata. Roba da far tremare Ricucci e Consorte!
Purtroppo dopo quel bel disco gli svedesi si sono un po’ ammosciati, come brioches stantie per cui anche Maria Antonietta ha potuto fare poco – se non offrirle al grande pubblico. Usciti dal gruppo – non rimpiazzati – bassista e batterista, i Radio Dept. sono andati avanti sia dal vivo che in studio come trio (due chitarre più synth&tastiera), modificando il loro suono in direzione più elettronica (dai Jesus And Mary Chain ai tardi New Order). Il problema sta però nel fatto che le canzoni (del secondo album Pet Grief, uscito nel 2006, e degli ultimi singoli ed Ep) si sono fatte meno incisive e spesso poco distinguibili l’una dall’altra. Vedremo cosa combineranno con il prossimo album, di cui l’Ep estivo Freddie And The Trojan Horse pare essere un’anticipazione (la drum-machine dei primi 10 secondi della title track sembra annunciare una svolta Sisters Of Mercy! Poi invece il pezzo prosegue nei loro soliti canoni, e non è malaccio).

Per la verità le mie aspettative per il gruppo di Lund non sono molto alte: dal vivo li immaginavo freddini. E così è. Il concerto è però peggiore di quanto mi aspettassi a causa della durata ridicola (una mezzora risicata, circa 8 canzoni: pensare che c’è chi era venuto per loro!) e della scaletta abbastanza  sfigata, che  ignora Letter Matters in favore di pezzi più recenti. Tra le poche cose che riconosco, I Wanted You To Feel The Same Way (noiosetta) e The Worst Taste In Music (questa bella da sentire) da Pet Grief, e un paio di brani tratti da Ep: Pulling Our Weight (uno dei pezzi più vecchi suonati) e Deliverance.
Non è certo una tortura per le mie orecchie, intendiamoci: li ascolto volentieri. Ma allo stesso modo in cui avrei ascoltato la loro musica registrata: scivolano via senza lasciare niente.

[*] cerco sempre di evitare l’uso della parola ind*eblogger, che se poteva avere un suo autoreferenziale-ma-anche-divertente senso per chi teneva un blog musicale tra il 2003 e il 2005 (ed è una cerchia di cui non faccio parte, anche se in quel periodo già iniziavo a leggerne qualcuno), oggi mi fa un po’ ridere. E probabilmente fa sorridere anche gran parte di quei pionieri dello spaghetti-m-blog, fra i quali purtroppo solo in pochi continuano ad aggiornarne uno (ma è nell’ordine delle cose: c’è chi si è semplicemente stufato, c’è chi meritandolo scrive di musica altrove). Identica moratoria subisce da queste parti anche bal*tta, termine di origine dialettale con cui io non sono cresciuto e che sento estraneo, sorry – questo non significa che non mi piaccia socializzare!


Sui Massimo Volume metto subito le mani avanti. Fino a poco tempo fa non ne avevo sentito più di qualche pezzo per sbaglio, e senza inquadrare bene il genere (immaginavo i loro brani tutti rarefatti ed elettronici, mentre specialmente i primi 2 dischi sono mooolto rumorosi). Non ho bene assimilato i loro 4 album, ma soprattutto non li ho vissuti negli anni Novanta all’epoca della loro uscita, come è stato invece per la maggior parte delle persone che sono qui (o che sono state a Torino) per loro.

Devo dire però che un po’ lo intuisco, quanto importanti possano essere state le loro canzoni per chi con esse è cresciuto. E dal vivo l’impressione è ottima, e l’intuizione confermata. I brani più ritmati e tesi impressionano, quelli più riflessivi ipnotizzano. Emidio "Mimì" Clementi ha una presenza scenica pazzesca, la sua voce recitante tocca corde che molti cantanti non riuscirebbero a sfiorare.

Dopo aver sentito tirar fuori tante volte il nome dei Massimo Volume nella descrizione del progetto Offlaga Disco Pax (più volti visti e positivamente descritti su queste pagine, scorrere la colonna a lato o l’apposita tag per credere), posso anche io dire la mia. In comune c’è il recitato, ok, ma poco altro. Si può dire che i Massimo Volume sono un affiatato gruppo di musicisti, uno dei quali (Clementi, che suona il basso) recita, invece di cantare come è consuetudine (anche se in brani come Ororo e Ronald, Tomas e Io la distanza con certo cantato punk/nowave/metticialtreetichetterandom si fa sottile); mentre negli Offlaga c’è un non-musicista che si integra con dei musicisti. La differenza si sente: nei MV i brani sono più "canzoni" in senso classico, tutto è più armonioso, sono senz’altro più "gruppo" che progetto; negli ODP l’incontro tra testo e musiche dà un maggiore effetto straniante (tanto che i brani generalmente risultano di impatto meno immediato). Per il resto, sono abbastanza distanti sia le atmosfere musicali (legate al postrock e al noise quelle dei MV, più vicine alla newwave e all’elettronica quelle offlaghiane), così come lo stile dei testi (più poetico per Clementi, più legato al politico e al quotidiano in chiave retorica-anti-retorica quello di Collini).
Tutti e due i gruppi possono piacere o no: da oggi posso affermare che a me piacciono entrambi.

Clementi e compagni suonano oltre un’ora e mezzo senza mai far calare la tensione (neanche in me che non conoscevo le canzoni a memoria), per quanto si giochino molti dei pezzi più noti nella parte iniziale del concerto (Atto Definitivo, Il Primo Dio, Fuoco Fatuo, Dopo Che). Suonano roba da tutti gli album, soffermandosi in particolare su Da Qui. I brani dall’esordio Stanze (Vedute Dallo Spazio/Ororo e Ronald, Tomas E Io), veri e propri manifesti di rock anni 90, arrivano nel finale, come forse è giusto. Il concerto sembra finito, ma dopo un’applauso-ovazione i 4 tornano sul palco per una più dilatata Manhattan Di Notte.

Atto Definitivo
Il Primo Dio
La Notte Dell’11 Ottobre
Seychelles ’81
La Città Morta
Fuoco Fatuo
Dopo Che
Altri Nomi
Stagioni
Qualcosa Sulla Vita
Sul Viking Express
Vedute Dallo Spazio – Ororo
Ronald, Tomas E Io
Manhattan Di Notte


Dopo la fine del concerto dei Massimo Volume l’area davanti al palco si svuota impietosamente: in poco tempo si riempirà di nuovo, ma è evidente quanto buona parte del pubblico sia venuta da lontano esclusivamente per loro. In seguito, un giudizio avrebbe messo d’accordo estimatori e detrattori del set degli Okkervil River, quello che comunque "dopo i Massimo Volume non ce n’era più per nessuno".
Per me non è così: i MV li ho apprezzati, ma per me l’elemento nostalgia-identificazione non è scattato – non poteva farlo.
Per me il concerto clou della giornata, quello che mi emozionerà ed esalterà, è quello della band di Will Sheff.


Gli Okkervil River sono in 6 sul palco: oltre al carismatico leader alla voce e alla chitarra (che suonerà con una corda saltata per buona parte del concerto, senza grosso danno per la resa dei brani  – almeno nella mia poco obiettiva percezione), c’è la chitarrista (che occupa solitaria lo spazio alla sua destra), un pianista, un tastierista-trombettista, il batterista e il bassista-seconda voce. Evito di dare loro dei nomi per non sbagliarmi, dato il turbinio di avvicendamenti nella formazione che ha caratterizzato il gruppo negli ultimi anni.

La scaletta è letteralmente per-fet-ta: chi ha amato gli ultimi due album Black Sheep Boy e The Stage Names può riascoltare tutti i pezzi migliori, suonati come deve esser fatto, cioè senza risparmiarsi in pathos ed energia – mantenendo tuttavia arrangiamenti "ricchi" e che solo raramente si distaccano in modo significativo dalla versione studio.

L’inizio è per due pezzi di The Stage Names: Plus Ones, il cui testo citazionista merita una attenta lettura (viene evocato il titolo, contenente un numero, di molte celebri canzoni: ma con l’aggiunta di 1…quanti ne riconoscete da soli, prima di leggere gli "aiutini" a fondo pagina?), e A Hand To Take Hold Of The Scene. A quel punto si è già abbastanza caldi per spararsi Black, con il suo riuscito contrasto tra tastiere travolgenti e testo triste e rabbioso. I coretti di The Latest Toughs continuano a tenere il morale alto, e portano alla melensa (e strascicata a dovere) A Girl In Port.
Subito dopo è la volta di Lost Coastlines, unica anticipazione (peccato, io tifavo per Pop Lie) dalla prossima imminente uscita The Stand Ins, già ascoltabile sugli azzurri ruscelli in cui si abbeverano gli animali da soma della rete. The Stand Ins è la seconda metà di The Stage Names uscito l’anno scorso (come si può anche capire accostando le due copertine): i due album insieme formano una specie di concept, in cui molte canzoni (e il discorso vale soprattutto per il secondo disco) ruotano attorno alle tematiche della vita on the road dei musicisti, del groupismo e dei rapporti tra artisti e fans. In Lost Coastlines (cantanta in 2 anche in studio) le parti vocali vengono divise col bassista, che purtroppo di voce ne ha poca – ma forse è anche penalizzato da problemi tecnici, chissà.


Seguono altri due pezzi da Black Sheep Boy, la ballata folk A Stone (in cui Sheff tortura la sua ugola) e la straziante So Come Back, I Am Waiting (con uno dei loro crescendo più belli: e sono brividi anche dal vivo).
Le emozioni non sono finite, anzi: dopo John Allyn Smith Sails (che nel ritornello incorpora una cover del traditional "The John B. Sails", già ripresa in passato da certe altre band promettenti), è il momento del gran finale. Our Life Is Not A Movie Or Maybe, tra le canzoni del 2007 per molti presenti (per qualcuno anche tra quelle del 2008), è tutta da urlare a squarciagola, e da accompagnare con battimani che nemmeno nel più becero medley discotecaro di Grease. Il suo finale strumentale rallenta fino all’annunciatissimo arrivo delle prime note di For Real, forse il capolavoro di Sheff, con quella parte di chitarra che apre così facilmente il cuore e le ghiandole lacrimarie. A suggellare la sequenza di fuochi d’artificio c’è poi Unless It’s Kicks, con la sua chiusa strumentale entusiasmante a incorniciare un finale che è il perfetto commiato per un concerto come questo

And I know it’s a lie
But I’ll still give my love
Hey, my heart’s on the line
For your hands to pluck off

What gives this mess some grace unless it’s fictions
Unless it’s licks, man
Unless it’s lies or it’s love?

What breaks this heart the most is the ghost of some rock and roll fan
Exploding up from the stands
With her heart opened up
And I want to tell her, "your love isn’t lost"
Say, "my heart is still crossed"
Scream, "you’re so wonderful"
What a dream in the dark
About working so hard
About glowing so stoned
Trying not to turn off
Trying not to believe in that lie all on your own

…in realtà non è finita, perché dopo una lunga attesa, scandita dagli applausi continui di chi non si vuole arrendere neanche quando le luci si stanno rialzando, la band torna sul palco, e regala ai fans di lungo corso Westfall, inno country-rock tratto dal primo album Don’t Fall In Love With Everyone You See.

Plus Ones
A Hand To Take Hold Of The Scene
Black
The Latest Toughs
A Girl In Port
Lost Coastlines
A Stone
So Come Back, I Am Waiting
John Allyn Smith Sails
Our Life Is Not A Movie Or Maybe
For Real
Unless It’s Kicks
Westfall


E dopo gli Okkervil River non è ancora finito neanche il festival, formalmente. C’è infatti il set di Musica Da Cucina sul palco secondario dell’esedra del Teatro Sanzio, probabilmente caldeggiato dalle autorità locali per spingere velocemente verso il letto i turisti festivalieri che pernottano in città…scherzi a parte: la performance a base di basi e campionamenti impreziositi dai suoni ottenuti con domopack, bicchieri, vassoi, scolapaste e quant’altro è interessante per dieci minuti, dopodiché alle 2 di notte lo sbadiglio violento è in agguato (magari in altro orario avrei gradito di più, anche se non ci giurerei). E se si pensa che la cosa è andata avanti per un’ora (il doppio dei Radio Dept.!)…
Va detto comunque che – de gustibus – il progetto ha affascinato molti dei presenti: addirittura c’è chi come PLIN!-Blanket lo ha esaltato, a margine di una pesante stroncatura degli Okkervil River che qui si è cordialmente fatto finta di rispettare.

Il bilancio finale è assolutamente buono: anche l’organizzazione mi è sembrata all’altezza. Avrei soltanto due insignificanti appunti da fare:
1) il tatuaggio per uscire dall’area concerti e andare nei puliti e gratuiti bagni pubblici avrebbe potuto essere più sobrio, non tutti amano ritrovarsi l’intero avambraccio ricoperto di inchiostro apparentemente indelebile
2) Oracular Spectacular, l’album dei MGMT è un disco gradevole, uno dei più riusciti dell’anno, ma se utilizzato in TUTTE le pause e i tempi morti (peraltro di *entrambe* le giornate, mi han detto) alla lunga dà lievemente ai nervi – come farebbe come qualunque altra musica. Già una semplice compila da 80 minuti in cd sarebbe stata forse un’idea migliore.

– – –

Bonus Tracks
:

The Radio Dept. – The Worst Taste In Music (Extended)   [last.fm free download]
 
The Radio Dept. – Freddie And The Trojan Horse   [last.fm free download]
 
Massimo Volume – Ronald, Tomas E Io   [Live @ Frequenze Disturbate ’08]
 
Okkervil River – Plus Ones   [Live @ Frequenze Disturbate ’08]
 
Okkervil River – For Real  

– – –

(ah, volete sapere com’era poi Urbino? Carina, accogliente e molto piccola: si gira in un’ora, con tutta calma. Ho anche scattato qualche foto, ma guardate prima le sue, che riprendono più o meno le stesse cose e sono venute meglio)

12 Responses to It was your heart hurting, but not for too long, kid

  1. utente anonimo says:

    questa volta me li sono persi, gli okkervil river, però a novembre tornano – comodi comodi – nella mia città, quindi ben venga la recensione positiva!

    liz

  2. utente anonimo says:

    Io è da un anno che ho The Worst Taste In Music inlupsullaipod. Infatti l’ho scoperta grazie ad un blogger, ma non sei tu :-P
    IllegallyBlonde

  3. AnelliDiFumo says:

    Considera che io a Urbino ci ho vissuto 2 anni per la Scuola di giornalismo.

    Come dire: un weekend lungo è la morte sua. Due anni, ti puoi anche sparare sui coglioni ogni giovedì.

  4. Disorder79 says:

    liz: se non ti devi neanche spostare e non li hai mai visti, è un delitto perderseli! Io non so se li rivedrò così a breve, forse se trovo con chi fare il viaggio, altrimenti terrò il ricordo di questa volta.

    I.B.: fuori il nome, traditore! :D

    AdF: l’ho pensato anche io: mi sa che al confronto studiare a Siena è Las Vegas :D
    (no, forse esagero :D )

  5. utente anonimo says:

    infatti la data è già segnata sul calendario!
    se ti serve qualcuno con cui vedere il concerto, fai un fischio!
    se ti serve qualcuno con cui fare il viaggio invece, no! :D al massimo posso offrire un servizio navetta stazione centrale-estragon…!

    liz

  6. Ari says:

    che bella urbino. quanti ricordi.

  7. Grazie della cronaca, quest’anno non c’ero.
    Le due date fai-da-te dei Radio Dept. erano del maggio 2004..
    Per il resto aggiungo poco altro. Loro hanno sempre fatto concerti da 8-9 pezzi, anche in patria. A Bologna quasi litigammo per fargli aggiungere “I don’t need love I’ve got my band” alla sceltta :-) Capisco che qualcuno li trovi freddi e non provo neanche a difenderli, io gli voglio ancora bene a prescindere.
    ciao,
    e.

  8. Disorder79 says:

    Ah, ecco (grazie per il retroscena eheh). Comunque anche io nella mia ignoranza mi aspettavo un concerto “freddo” (è forse inevitabile, per quel tipo di musica). Speravo in qualcosa di meglio per lunghezza e scaletta :)

  9. utente anonimo says:

    Bello…mannaggia, spero facciano un salto a Firenze i MV! Comunque non dirmi che alla fine di “Stagioni” non ti sei unito al grido “…e fuori, fuori la peste!”
    Concordo col tuo giudizio sul paragone Massimo Volume – Offlaga. A me è capitato di vedere Clementi (col progetto El Muniria) insieme agli Offlaga in una serata alla Leopolda tre anni fa. Rispetto a Collini lo stile è molto diverso ma tennero il pubblico immobile ad ascoltarli per tutto il concerto.
    Lunga vita a tutti e due!
    Ale

  10. Disorder79 says:

    Ehi, ma cosa mi tiri fuori, il concerto alla Leopolda! Se non sbaglio proprio dopo aver visto quel concerto cominciasti a spargere la voce con me e molti altri su questo nuovo gruppo strano…sembrano passati secoli :)

  11. Fatabugiarda says:

    occccccommmme!!
    C’ero anche io..

    ci incontreremo mai??

  12. Disorder79 says:

    Allora non sono l’unico ad aver scollinato l’Appennino! (per quanto riguarda il tuo appello, forse ho trovato una soluzione, come scoprirai in altra sede eheh)

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