[Un post nostalgico, provinciale, ma soprattutto – orrore! – tifoso]
Non ricordo precisamente in quale occasione, da ragazzino, sono stato per la prima volta allo stadio a vedere la Fiorentina.
Si trattava, ne sono certo, di una partita amichevole: forse quella di addio al calcio di Giancarlo Antognoni, un mito nel cui culto ero cresciuto, ma che per ragioni anagrafiche non avevo fatto in tempo ad ammirare nei suoi anni d'oro.
I tardi anni 80 mi hanno visto seguire alla radio (il Guetta c'era già da tempo) i tristi campionati della squadra viola dell'epoca, che quando non viaggiava sul filo della retrocessione era destinata a campionati anonimi.
In compenso, la coppa UEFA 1989-90 fu un'avventura incredibile: quella squadra così sofferente in campionato avrebbe davvero meritato la vittoria finale, dopo aver eliminato un allora forte Atletico Madrid al primo turno e poi Sochaux ( forse l'unico avversario a noi inferiore sulla carta), Dinamo Kiex, Auxerre e Werder Brema. Ricordo ancora l'ordine delle avversarie e l'entusiasmo dopo ogni qualificazione (quanto erano belle le coppe senza i gironi, signoramia), il campo gelato di Kiev (la partita andava in tv di pomeriggio: fu probabilmente il mio primo impatto col concetto di fuso orario), Marco Nappi con l'ormai storico numero della foca (una dozzina di metri percorsi mantendendo il possesso di palla con ripetuti colpi di testa; anche se mica sono sicurissimo che lo fece in coppa). E poi il giovane e timido Roberto Baggio, con le sue splendide giocate.
In finale però era arrivata anche la Juventus, che doveva vincere. E lo fece, grazie al solito arbitro compiacente (lo spagnolo Soriano Aladren: nomen omen) e a un'opportuna squalifica del nostro campo che dirottò la finale di ritorno sul feudo bianconero di Avellino.
Ma di tutto questo ho ricordi vividi ma sparuti. La Fiorentina che ho davvero nel cuore è quella degli anni 90, gestione Cecchi Gori.
Furono anni intensi, con ulteriori beffe da parte della giustizia sportiva (anche europea, vedi la squalifica post-Barcellona e la successiva vergogna di Salerno) e una quasi immediata retrocessione, dovuta all'inesperienza nel mondo del calcio della pittoresca dinastia di produttori cinematografici.
Ma arrivarono anche i successi, che furono sudati e meritati. Una Coppa Italia, la Supercoppa italiana strappata a San Siro al Milan campione d'Italia (prima volta in cui prevalse la vincitrice dello scudetto), vittorie prestigiose in Europa.
Anche altri buoni giocatori vestirono la maglia viola negli anni 90: ma tre sono i giocatori simbolo di quella squadra, che nell'inverno 1998 con Trapattoni alla guida lottò anche per lo scudetto.
Tre bandiere, in un'epoca in cui le bandiere già non esistevano più.
Tre campioni di levatura internazionale che rinunciarono a guadagni e a soddisfazioni maggiori per restare più a lungo di quanto tutti avevano previsto a Firenze, una realtà che non aveva i mezzi per vincere e soprattutto in cui vincere non era permesso. Certo, anche una realtà che li coccolava (e a quel disgraziato di Vittorio va dato atto di aver fatto l'impossibile per tenerseli il più possibile, finchè non fu trascinato a fondo dal disastro finanziario del suo gruppo).
Questo post è un omaggio che dovevo a loro.
Per primo a Gabriel Omar Batistuta, il bomber dei record, quello che per me resterà sempre IL centravanti. Un atleta straordinario, che qui abbiamo visto crescere e crearsi dal nulla un bagaglio tecnico immenso (nel '91 quando arrivò era solo uno spilungone dal buon tiro), con l'impegno e il sacrificio. Un attaccante che non tirava mai indietro la gamba e un uomo che ci metteva sempre la faccia; uno che non nascondeva la sua posizione anche se critica nei confronti della proprietà, ma che restava sempre al tempo stesso l'uomo-squadra, la sicurezza. I capricci da bambino viziato dei vari Totti, Adriano e Cassano erano distanti anni luce da lui.
Se ne andò per primo Bati, venduto proprio alla Roma, dove arrivò e guarda caso vinse immediatamente uno scudetto. I soldi ricavati dalla sua cessione, 70 miliardi di lire, finirono nelle casse di una finanziaria del gruppo CG (il baratro era già dietro l'angolo).
In maglia giallorossa segnò anche alla Fiorentina, da gran professionista qual era (un carattere molto diverso da quello di Roberto Baggio, che da juventino si rifiutò di tirare un rigore contro la squadra che lo aveva lanciato…però poi si sarebbe anche girato mezza serie A).
Ma io lo so, nel suo cuore è come se quello scudetto Batigol lo avesse vinto sotto la curva che gli dedicò una statua dorata; in quello stadio zeppo di tifosi in delirio che attesero fino alle 2 di notte il ritorno della squadra che aveva conquistato la Coppa Italia a Bergamo; davanti a quei tifosi che aveva fatto sognare con i suoi gol a Wembley, al Camp Nou e con quel "Te amo Irina, te amo" per la moglie urlato alle telecamere a bordo campo a San Siro, dopo la sua doppietta in Supercoppa (sboronata romantica che credo lo abbia consacrato uomo da sposare presso molte tifose viola e non).
Quando nel 2000 Batistuta se ne andò, la squadra potè non perdersi perchè era rimasto a guidarla, in campo e fuori, un altro campione eccezionale: Manuel Rui Costa. Era impossibile non amare un centrocampista come il Rui Costa degli ultimi anni in viola, con quella continuità, quella personalità, quell'attaccamento alla maglia e quella capacità di accendere il gioco della squadra anche in presenza di compagni di reparto dal tasso tecnico non sempre all'altezza.
Arrivò nel 1994 che era ancora un trequartista discontinuo e un ragazzo bizzoso, che mandava a quel paese il buon Claudio Ranieri che lo faceva maturare a suon di sostituzioni.
Se ne andò nel 2001 – dopo averci regalato una seconda coppa Italia, e stavolta il baratro era davvero vicino – che era diventato un giocatore a tutto campo e un atleta maturo e intelligente. La sua destinazione fu il Milan, squadra in cui era solo una stella tra le tante, ma in cui contribuì a molte vittorie con la sua classe e la sua correttezza all'interno dello spogliatoio. Anche lui trovò altrove lo scudetto che gli spettava, oltre a una Champions League.
Sempre nel 2001, insieme a Rui Costa se ne andò anche il terzo pilastro della Fiorentina degli anni 90, Francesco Toldo. La prima pietra su cui nel 1993 era stata ricostruita la squadra – dopo la prima ingloriosa retrocessione.
Aspetto da gigante buono, i punti di forza del portierone padovano erano la sicurezza sulle palle alte e la continuità nelle prestazioni. Solo il talento leggermente superiore di Buffon poteva portargli via il posto da titolare in Nazionale. Ma grida vendetta la sua precoce esclusione dal giro azzurro, in cui a mio parere avrebbe dovuto restare. Purtroppo lo hanno penalizzato prima il fatto di giocare in una squadra "non a strisce", poi una volta approdato all'Inter gli infortuni e la scarsa fiducia riposta in lui dagli allenatori. Eppure, dopo quei tre rigori parati nella semifinale a Euro 2000, avrebbe meritato di essere anche lui tra i campioni del mondo di Germania 2006.
Ma il destino aveva deciso diversamente.
In effetti, nessuno di questi tre giocatori è riuscito a vincere il campionato del mondo, pur militando entrambi in squadre che erano tra le favorite.
Un altro punto in comune tra loro è aver vinto tutti uno scudetto in Italia, ma solo una volta allontanatisi da quella Firenze che avevano incantato (finendo in 3 squadre diverse, ma non alla Juventus: non avrebbero potuto).
Sì, perchè l'occasione di questo lungo post è la conquista dello scudetto sul campo (quello 2006 assegnato dalla Telecom non conta) anche da parte di Toldo, con l'Inter.
Un campionato in parte falsato e poco combattuto quello che si sta per concludere, vinto da una società poco simpatica e da un allenatore ancor meno simpatico.
Però io nei giorni scorsi, guardando i festeggiamenti dei nerazzurri, ho subito pensato a Toldo, che pure ora mi pare non esser neanche più titolare fisso, a beneficio dell'ennesimo inutile portiere straniero. Finalmente è riuscito anche lui a conquistare lo scudetto che si meritava e che Firenze non gli ha dato.
E' quasi la chiusura di un cerchio, se aggiungiamo che in questi giorni sono tornati al successo anche i due allenatori simbolo della Fiorentina di quegli anni. Il sempiterno Giovanni Trapattoni è campione d'Austria (quarto paese in cui vince un campionato!), mentre Claudio Ranieri ha compiuto il miracolo di rimettere in corsa per la salvezza un Parma che pareva agonizzante. Sono contento anche per loro.
Nel frattempo a Firenze, dopo una retrocessione+fallimento e una rocambolesca risalita dalla C2, alcune cose non sono cambiate. Stesso trattamento da parte degli arbitri, stessa "equità" da parte della giustizia sportiva, stesso "peso" della società nel Palazzo dei soliti noti.
Ma si va ancora orgogliosamente avanti: la società adesso è solida, c'è un Prandelli che è una garanzia per il futuro, tanti giovani di buone prospettive. Magari l'anno prossimo riusciremo per la terza volta a fare più di 65 punti; magari a questo giro non troveranno una scusa per toglierceli.
Intanto, ora che tutti e tre quei ragazzi hanno trionfato, come tifoso della squadra di cui hanno rappresentato l'anima sento di aver vinto anch'io con loro un piccolo scudetto simbolico.
E sono sicuro che anche quei tre, guardandosi indietro, penseranno per sempre che quel loro scudetto è anche un po' di Firenze.